La nostra vita è fatta di relazioni, quando qualcuno ne entra il più delle volte in modo casuale, dovremmo iniziare a chiederci se sarà un contatto o incontro. La parola contatto ormai è abusata visto il dilagare dei social, ed effettivamente la maggior parte delle persone con le quali ci relazioniamo sono poco più che un contatto. Ecco la pregnanza della parola, con-tatto in rapporto con il nostro tatto, il senso che delimita il nostro corpo e la nostra anima che ci fa percepire ciò che è fuori di noi, tutto quel mondo che resterà al di là. Beh cosa ben diversa è un incontro lo dice la parola stessa. Formata dalla preposizione in e da contro questa parola vivifica quello che succede. Quando l'altro è in-contro ci entra dentro e spesso va contro tutto ciò che siamo stati sino a quel momento, ci lascia segno ci trasforma perché scardina convinzioni, valori , idee mettendo in discussione quello che la nostra idea di Noi stessi. Gli incontri a differenza dei contatti richiedono cura, attenzione e un continuo e certosino labor limae proprio perché resteranno e diventeranno compagni di viaggio e come canta de Gregori " due buoni compagni di viaggio non dovrebbero perdersi mai. "
Nella parola fine la duplice valenza di limite e scopo. La fine come limite può essere per qualcuno difficile da segnare proprio perché si vorrebbe una vita senza limite, senza confine; poiché definire ciò che lasciare dentro e quello che tenere fuori dalla propria vita richiama alla responsabilità. Ormai però sembra diffondersi un principio di indeterminazione, una pervasività, un commistione tra il pubblico e privato. Si è raggiungibili e reperibili a tutte le ore in una illusoria relazione di contatto. Neanche dal lavoro si riesce a staccare, la reperibilità è insita in ogni impiego e tutto questo si è insinuato in modo così subdolo nelle nostre vite che nessuno si è realmente accorto della fine che abbiamo fatto. Riuscire a ritrovare il proprio fine per dare autenticità e unicità alla propria vita.
" Così percorsa e attonita la terra al nunzio sta ". Due versi della famosa poesia manzoniana del Cinque Maggio che descrivono bene lo stordimento e lo sbalestramento che coglie una persona alla notizia che, qualcuno a lei in qualche modo vicino, è venuto a mancare improvvisamente. Quella notizia inattesa che vivifica la realtà della morte. Il pensiero della morte è spesso rifiutato e allontanato perché ritenuto spaventoso. Eppure è il momento della nascita che segna la morte, solo ciò che ha vita è destinato a morire. I vissuti dolorosi, scatenati dal lutto, hanno bisogno di trovare accoglimento e posto dentro. La non accettazione di quanto accaduto porta questo dolore a incastrarsi, a divenire una ferita sanguinante che continua a infettarsi e che quindi non riesce a risanare e divenire cicatrice. Le cicatrici che ci portiamo dentro sono la nostra personalissima segnaletica, che indica i punti nei quali la vita ci ha attraversato.
Come beni deperibili... Un tempo erano solo le cose a portare la data di scadenza, oggi sembra invece che questa data di scadenza sia applicabile alla persone, alle relazioni, a molti aspetti della nostra esistenza. L' Altro è vissuto come qualcosa che deve soddisfare un bisogno, e nel momento in cui non assolve più a questo compito va sostituito. Si è incapaci di attribuire valore all'unicità dell'incontro che rende un rapporto una fonte di continuo scambio e crescita. Relazioni usa e getta, attacca e stacca, blocca e sblocca, che cavalcano l'onda dell'emozione del momento, senza riuscire ad arrivare ai sentimenti. I sentimenti, infatti, hanno bisogno di attenzione, di cura e soprattutto di tempo. Il tempo che sembra aver perso il suo infinito valore. Vige la logica del tutto e subito che esclude il tempo dell'attesa. Tempo di fondamentale importanza perché è il tempo in cui nasce il desiderio. Una vita senza desiderio è una vita vuota, effimera, priva di quella spinta che muove alla conquista e alla realizzazione di un sogno.